Trasgressioni olandesi

Una persona di mia conoscenza ripete spesso che il Vaticano sia la cosa migliore che potesse capitare alla sessualità in Italia, perché ha coperto la cosa più naturale del mondo di un senso di proibito che la rende molto più eccitante. Io non posso dire di essere del tutto d’accordo, però di tanto in tanto mi capita di vivere delle esperienze che mi fanno tornare in mente quella frase. Un esempio? Il mio recentissimo viaggio in Olanda, che si è incentrato soprattutto sulla città di Amsterdam.
Amsterdam: basta nominarla, e gli italiani (e le italiane, sia chiaro) cominciano subito a fare risolini e darsi di gomito. Per chi abita nel nostro repressissimo paese infatti Amsterdam è la città dei coffee shop e delle ragazze in vetrina, due cosiddette “trasgressioni” così lontane dalla nostra morale comune che… diventano subito l’unica attrattiva di quello che in realtà è un posto davvero carino, che mi sono divertita a girare in lungo e in largo gustandomi negozi, cucina (pessima quella locale, favolosa quella proveniente dalle loro ex colonie), architettura, storia e così via.

Gli italiani invece no. Quelli erano tutti nei coffee shop, appunto, e a passeggiare nervosamente nei vicoli del quartiere a luci rosse – come se fumo e prostitute non ce ne fossero anche qui da noi! Quando si è in viaggio però anche il verme più codardo, quello che passa tutti i giorni a masturbarsi davanti a Internet di nascosto dalla moglie, si trasforma. Nei sex shop ci va “tanto per ridere”, e le ragazze in lingerie dentro le vetrine si ferma a guardarle “per turismo”, cercando di scattare foto di nascosto come se la macchina fotografica fosse una maschera dietro cui nascondersi. Guardando la tristezza di quei personaggi mi sono venuti in mente quei film che andavano di moda negli anni ’70, dove con la scusa di documentare la vita delle tribù africane i nostri registi più squallidi passavano il tempo a riprendere i seni nudi delle ragazze di colore. Roba da vergognarsi di essere nata nella loro stessa nazione!
In fondo però magari ha davvero ragione quella persona che vi dicevo. A giudicare dagli occhi fuori dalle orbite e dall’odore di marijuana, i turisti si divertivano molto più di chi ad Amsterdam ci abita tutti i giorni, e tira dritto davanti a queste “trasgressioni” con la stessa eccitazione che abbiamo noi quando passiamo di fronte a un negozio di ferramenta. Per loro fumare ogni tanto è una possibilità come tutte le altre, così come lo è rilassarsi in compagnia di una prostituta anziché andare dal fisioterapista.
Vivere la vita senza insulse angosce puritane è senz’altro meglio. È una cosa che vedo spesso in chi viene nel mio studio: la prima volta arrivano tesi come molle, con gli occhi che saettano da una parte all’altra come se si aspettassero che da un momento all’altro spuntasse Satana in persona per trascinarli all’inferno a causa della loro “trasgressione”. Poi si accorgono che l’unica cosa che trasgrediscono sono solo delle regole immaginarie che si erano costruiti nelle loro teste, e a partire dalla seconda visita appaiono molto più rilassati. Anche le pratiche che mi chiedono di provare cambiano: quelli con l’idea di “stare facendo peccato” sono più attratti da torture intense, degradazione profonda e così via; gli altri – e le altre – vivono molto meglio l’incontro, e si divertono a esplorare sensazioni che possono essere sicuramente molto forti, ma non tormenti indicibili. Semplicemente, si godono di più la vita: il BDSM diventa un bel gioco e non una punizione per espiare chissà quali colpe.
Come in tutte le cose c’è però un altro lato della medaglia: togli il senso di proibito, di oscuro, e stai pur sicura che andrà persa un po’ di quella tensione erotica che ci piace tanto. E infatti osservando il comportamento, le facce degli abitanti di Amsterdam ho avuto l’impressione che di impulso vitale non ce ne fosse proprio moltissimo.
Quasi tutti coloro che incontravo erano molto sereni, sicuramente senza quel senso di incarognimento e di venire continuamente fregati dalla vita che abbiamo qui in Italia. Facevano le loro cosine senza preoccupazioni, ma anche senza troppo entusiasmo, secondo me. E non credo che dipenda solo dalla disponibilità delle canne: l’idea che mi sono fatta è che fossero un pochino troppo comodi. È difficile da spiegare. Prendete le loro case, tutte rigorosamente senza tende.
Se chiedi in giro ti spiegano che il motivo è geografico: più vai a nord, meno lunghe sono le ore di luce solare e quindi viene naturale prendere l’abitudine a fare entrare più sole possibile in casa e negli uffici. Certo, però in questo modo tutti quelli che passano ti possono guardare in salotto e in cucina, a tutte le ore del giorno. Lasciamo pure stare il fatto che quando sono a casa mi piace spesso stare solo in lingerie, o comunque disporre in ogni modo dei miei schiavi favoriti: anche se non avessi nessuna remora a mostrarmi in quei momenti, resta comunque la voglia di avere un po’ di privacy, e che diamine!
Loro invece no. Le tende non le usano, e il problema lo risolvono in un altro modo. A meno che non sia stata io a beccare proprio sempre dei momenti particolari, mi pare che la soluzione made in Amsterdam sia “semplicemente” quella di non usare proprio le stanze visibili dalla strada. Dovunque abbia guardato, sembrava di vedere il catalogo dell’Ikea: stanze anche piuttosto carine, ma completamente deserte. Delle vetrine, non delle case.
Non vi pare significativo? Per non cambiare abitudini, per non essere diversi dai vicini, preferiscono rinunciare al gusto universale di mettersi in libertà, e in definitiva di essere se stessi.
Può essere che la mia analisi antropologica sia del tutto sbagliata, ci mancherebbe. Ma fatto sta che con queste premesse sono arrivata un po’ preoccupata al Wasteland, la festa fetish che era poi uno dei motivi per cui avevo fatto il viaggio. Magari, pensavo, questa popolazione di super-rilassati agli eventi erotici non ci va proprio e preferisce starsene a casa a guardare la televisione nello sgabuzzino, lontana dagli occhi dei passanti.
Raggiungere il luogo della festa è stata una mezza impresa: altro che party ad Amsterdam! Gli organizzatori avevano scelto un posto nell’hinterland dimenticato da dio, e col passare dei chilometri mi stavo arrabbiando sempre di più. Poi una volta all’ingresso ho capito che mi fosse sfuggito qualcosa.
Per farla breve, la scelta del locale dipendeva dal fatto che in città non ci fossero posti adatti a contenere oltre cinquemila persone (mi dicono che ce ne fossero circa 5.500), ed evidentemente i partecipanti non mancavano.
Il fatto è che fossero in grandissima parte olandesi. E, ok, anche un po’ che il concetto di “festa fetish” del Wasteland è un po’ diverso da quello a cui sono abituata io. Cominciamo da quest’ultima parte.
Il punto degli eventi fetish, di norma, è che ci si veste in modo fetish: lattice, pelle, pvc, abbigliamenti sensuali portati all’estremo. Non a caso mi ero portata in viaggio una bella selezione dei miei look preferiti, e sono stata fino all’ultimo a decidere quale combinazione di abito, corsetto, stivali e accessori indossare per fare ottima figura alla festa.
Quando invece sono entrata, ho capito due cose: la prima è che si sarebbe trattato soprattutto di un gran discotecone senza particolare concentrazione sugli aspetti più sensuali. L’altra che, giustamente, in discoteca ci si va per ballare e quindi la maggior parte dei partecipanti si era vestita il meno possibile per restare più fresca e non morire bollita nelle catsuit. Il che non vuol dire che non ci fossero anche molti personaggi abbigliati in maniera eccezionale: più banalmente, su 5.500 partecipanti ne avrò visti quattromila in pantaloncini di vinile e anfibi. Eh già, perché come peraltro sapevo fin da prima di partire, Wasteland è un evento al quale partecipa soprattutto il mondo gay – quindi il look “manzo palestrato” è quello che va per la maggiore.
Non che mi dispiaccia, anzi: non avevo ancora messo piede oltre il guardaroba che avevo già una fila di culturisti ad aspettarmi per farsi mettere al guinzaglio “da una donna”, che per qualcuno di loro rappresentava un’umiliazione tremenda e pertanto un gioco desiderabilissimo.
Abiti a parte, comunque, l’ambiente era decisamente bello ed elettrizzante. Grandi scenografie all’ingresso, tanta gente obbiettivamente bellissima, buona musica e anche un po’ di palchi su cui si svolgevano performance che… beh, che in tutta sincerità mi hanno lasciata un po’ freddina.
Se vai al Torture Garden di Londra, per esempio, che ha un’impostazione abbastanza simile a questa festa olandese, ovunque ti giri trovi esibizioni assai eccitanti e di ottimo livello. In Olanda invece ho visto: una specie di fachiro che poverino si è impegnato tanto ma faceva solo tanta pena; una trapezista come ormai ce n’è un po’ dappertutto; un ragazzo che ha dato prova di notevole dilatazione anale (mmm!) infilandosi una serie di strani oggetti, e una obiettivamente bella esibizione di bondage orientale… che però da qualche anno in qua è inflazionata peggio del prezzemolo. Tutto carino, per carità… ma da un evento così colossale mi sarei aspettata decisamente di meglio.
Il resto del party era composto da darkroom francamente impraticabili, in cui a giudicare dall’odore accadeva proprio di tutto ma che non mi attraevano proprio. Una delusione, quindi?
Tutt’altro: l’aria era carica di una tale energia che mi sono divertita comunque moltissimo… solo che non c’era quasi niente della sensualità che mi sarei aspettata da qualcosa targato “fetish”, soprattutto in un paese famoso per la sua trasgressività. Ma qui torniamo al discorso iniziale: probabilmente è proprio la mentalità a essere diversa e cambiare il modo di vivere le cose.
Uno dei momenti più belli del viaggio, comunque, l’ho vissuto al rientro. Un po’ stanca da tanti giri turistici, sono arrivata in aeroporto con le mie valigie e, oltre la porta del terminal, ho trovato ad aspettarmi uno schiavo-valletto che avevo incaricato di questo compito da diverse settimane. Sapendo dove guardare, non era difficile notare sotto la sua uniforme perfettamente stirata il rigonfiamento della cintura di castità in cui gli avevo rinchiuso i genitali prima di partire. Quando ha preso i miei bagagli era così emozionato di rivedermi che si è messo a tremare, piccino. O forse era per via del plug che gli avevo ordinato di indossare per l’occasione, chissà.
Comunque sia, mi sono diretta verso l’uscita dell’aeroporto con passo deciso, accompagnata dal ticchettare dei tacchi a spillo dei miei stivali. Mentre mi incamminavo infastidita dal volume sguaiato dei miei connazionali, ho sorriso pensando a come avrei ricompensato lo schiavo una volta tornata nella mia dimora. Dimora con tende ben chiuse e piena di segreti riservati solo a me e ai miei servi più fedeli.
Probabilmente non l’avrei liberato dalla cintura di castità. Certi piaceri, in fondo, è proprio meglio che rimangano proibiti. Non trovate?

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