Una vita da palcoscenico

Qualche giorno fa ho fatto un piccolo accenno ad alcuni artisti che mi piacciono molto. Ovviamente non sono i soli: come qualunque altra persona sulla Terra ho le mie preferenze un po’ per tutte le arti, dalla musica al cinema, dalla letteratura ai fumetti, dalla pittura alla danza e così via.
Altrettanto normalmente pago – direttamente o per mano di chi mi fa un regalo - per fruire dell’opera di questi artisti, e anche se certe volte come tutti mi lamento per alcuni prezzi un po’ più alti di quanto vorrei, ritengo questi pagamenti un privilegio e un investimento.
Il privilegio consiste nel fatto stesso di potermi così godere il loro lavoro. L’investimento sta invece nel fatto che se queste persone vengono pagate avranno la possibilità di dedicarsi ancora alla loro arte anziché dovere andare a lavorare in un call center, e prima o poi produrranno nuove opere da cui io possa trarre nuovo piacere. Mi sembra un ragionamento molto semplice.

Poi, come quasi tutti, oltre alle opere anche io ammiro molto gli artisti stessi. A parte alcune eccezioni si tratta infatti di persone che hanno fatto grandi sacrifici per arrivare al punto in cui sono oggi. Hanno fatto anni e anni di pratica, hanno scommesso su loro stessi rinunciando alle certezze di una vita e un lavoro “normali” per la fiducia nelle proprie capacità. Hanno esposto a tutti la loro anima, le loro vulnerabilità e hanno sperato di non rimanere feriti per questo. Hanno affrontato competizioni spietate, le truffe di cattivi manager e altre persone che vivono solo in funzione del consumismo e del profitto immediato… insomma, hanno preso di petto le difficoltà dell’avventura umana, hanno combattuto e vinto – contro ogni probabilità. È il trionfo della passione, e sapete bene quanto ami le passioni.
Chiamatemi sentimentale, ma quando penso a personaggi e storie come queste sento un certo moto di orgoglio. E un po’ di invidia, ma credo sia normale. Succede anche a voi, no?

Allora a questo punto vorrei che vi poneste insieme a me una domanda. Come mai è normale, apprezzato e invidiato che un musicista riesca a vivere della propria musica, un pittore dei suoi quadri, un attore della sua recitazione e così via… ma al tempo stesso è inaccettabile che io, come Dominatrice professionista, possa aver scelto di vivere della mia passione più profonda?
Con questo mi riferisco a un atteggiamento abbastanza diffuso con cui mi confronto quasi ogni giorno sia fuori che dentro all’ambiente (che alcuni chiamano “Scena”) del BDSM. Nel primo caso posso anche capirlo: chi non conosce l’arte della dominazione non ha gli strumenti per capire cosa io faccia e non faccia, quindi può trarre conclusioni molto sbagliate. È un po’ un peccato, ma va be’.

Quello che però proprio non capisco sono gli attacchi continui, espliciti o velati, che ricevo da chi come me il BDSM e il feticismo li vive come parte della propria vita. A parte il fatto che per carattere e disponibilità di tempo sono la prima a non dedicare più di tanta attenzione ai vari siti Internet dedicati a questi temi… è possibile che nella maggior parte di essi io sia persona non gradita a priori, per via della mia professione?
Ha un senso che in alcune feste a tema io venga accolta e riverita con tutti gli onori e ad altre non vada nemmeno più, perché era sempre un continuo stare sotto sorveglianza, come se fossi una specie di terrorista sabotatrice pronta a fare chissà cosa da un momento all’altro? C’è una logica?

Non voglio dire che questi atteggiamenti mi creino particolari problemi (al massimo qualche sana risata), però trovo ridicolo che alcune persone non riescano a concepire che la dominazione sia per me innanzitutto un piacere, e che mi faccia quindi piacere parlarne, confrontarmi su questo tema, partecipare a incontri a tema, e così via.
Facendo i debiti paragoni, è un po’ come se Vasco Rossi non potesse cantare sotto la doccia o Angelina Jolie venisse guardata con sospetto ogni volta che entrasse in un cinema per guardarsi un bel film. A me sembrerebbe piuttosto strano il contrario: che un artista non provasse piacere o interesse per la propria arte!

Io ci ho ragionato su un po’ e sono arrivata a due sole possibili spiegazioni. La prima è che chi mi critica abbia un rapporto tremendo col proprio lavoro. Certo, se si ha l’abitudine di considerare l’attività che ci si è scelti e alla quale ci si dedica almeno otto ore al giorno come una punizione divina, forse prima o poi si finisce col pensare che tutti i lavori vengano fatti solo per puro interesse economico. Una bella tristezza!
L’altra possibilità è che sia lo stesso atteggiamento di certi ragazzini che passano i pomeriggi a strimpellare la chitarra in garage, non riescono proprio a imparare più di tre accordi, e per sfogare la propria frustrazione se la prendono con le superstar “vendute”, che diventano i bersagli della loro invidia. Anche in questo caso, però, sarebbe una cosa proprio penosa…

Probabilmente continuerò a pormi questa domanda per sempre… ma solo di tanto in tanto, nelle pause fra un “concerto” e l’altro di una vita che dal mio punto di vista resta comunque e sempre da artista. Artista del piacere, che non è poco… con tanti saluti a chi non riesce ad apprezzare la mia “musica”.

Per continuare con la metafora musicale, ho trovato divertente che qualcuno si sia spaventato per il tono un po’ più “hard rock” del solito dei due post precedenti. Non siete abituati a vedermi arrabbiata, piccoli miei…
Allora vi faccio una promessa: la prossima volta vi racconto di come tratto quelli che con me si spaventano davvero. Scommettiamo che vi sorprenderà?

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