Fuochi di paglia

Questo è un post dovuto e meritato. Anche se con un po’ di ritardo dovuto alla prima parte delle mie vacanze estive (di cui vi parlerò forse in futuro), credo infatti che sia venuto il momento di tirare le somme su una questione rimasta in sospeso da qualche mese, di cui avevo già ampiamente parlato a suo tempo. Mi riferisco al processo al Max Mosley, che ricorderete sicuramente essere stato accusato di ogni sorta di crimine dopo che era stato ripreso a sua insaputa durante un incontro simil-sadomaso con delle prostitute londinesi.
Se volete i dettagli di quella storia non avete da fare altro che rileggere le vecchie pagine di questo blog. Se invece restate qui con me io avrei piacere di approfondire come siano andate a finire le cose, con una sentenza espressa il ventiquattro luglio.

Riassunto della sentenza: Mosley è perfettamente innocente di ogni capo d’accusa, e merita anzi un risarcimento per danni d’immagine che per un’altra persona sarebbe stato anche abbastanza consistente, ma per lui è poco più di una goccia nel mare dei suoi partrimoni. Le cose divengon però ancora più interessanti quando si entra nel dettaglio della sentenza.
Vediamo insieme cosa è successo di preciso, partendo a dir la verità da un aspetto che in tribunale non è stato neanche discusso: l’adeguatezza del signor Mosley al ruolo di presidente della federazione d’automobilismo sportivo. La cosa era stata dibattuta e risolta già da un bel po’. Qualcuno aveva detto che “un pervertito simile” non potesse certo essere idoneo a un lavoro come quello, qualcun altro si era atteggiato a timoroso beghino così indignato da vietare la sua presenza addirittura entro i confini del suo paese (un qualche emiro arabo, se non sbaglio), e tutti si erano riuniti attorno un tavolo a decidere. Risultato: ovviamente Mosley è idoneo oggi, dopo lo scandalo, tanto quanto lo era prima che i suoi gusti privati fossero stati resi noti. E poi – ma questo lo aggiungo io – gradirei che qualcuno mi spiegasse cosa c’è di così sacrosanto nel presiedere le riunioni di un gruppo d’aziende che fa pubblicità e affari grazie alle corse. Ma va beh.

Veniamo invece al processo vero e proprio, che erano in realtà due. Uno riguardava l’ambientazione del suo festino, dove erano stati usati costumi ispirati ai lager tedeschi. L’accusa era nientemeno che di apologia di nazismo, ed è nata e morta in un battibaleno.
Indipendentemente dalle preferenze politiche di quel signore, infatti, la libertà di pensiero è ancora un diritto fondamentale dell’uomo. Quale schieramento parlamentare ami sono tutti affari suoi, ovviamente, anche se è probabile che saranno in pochi a condividere le preferenze. L’apologia invece è una cosa molto diversa: significa andare a fare proseliti della propria causa… ma è più che evidente che dall’interno di uno scantinato chiuso a chiave e con le tendine tirate di adepti se ne attraggono ben pochi. Oltretutto vestirsi in un certo modo per fare sesso non vuole affatto dire di appoggiare una certa politica, quindi… caso chiuso, e tante scuse a Mosley.

Il secondo processo era un po’ più serio, e in realtà qui Mosley era l’accusatore. L’accusato era il giornalaccio inglese che aveva pubblicato per primo le sue foto, dando origine allo scandalo. Questo aveva sostenuto una vecchia tesi: siccome il presidente della Fia è una figura pubblica, nel suo caso non si è tenuti a rispettare la privacy.
C’è tuttavia un fatto: il diritto, o meglio il dovere, di tenere sott’occhio i personaggi pubblici, riguarda solo il loro lato professionale. Altrimenti dovremmo pensare che sia normale sapere quanta cacca ha fatto ogni giorno il nostro presidente del consiglio, tanto per fare un esempio, mentre invece quel che importa alla gente è solo che non sia un criminale.

“Eh, ma infatti Mosley stava compiendo un crimine!” hanno detto i legali di News of the World, che è il giornale in questione. Peccato che non sia affatto vero, perché come abbiamo visto non c’era ombra di crimine. In compenso mettere in piazza la sessualità della gente criminoso lo è davvero… soprattutto se il modo in cui ciò viene fatto è strumentale per diffamare gli interessati.
Non basta? Parliamo allora del fatto che la persona che ha venduto le foto ai giornali è la moglie di un agente segreto, e per riprendere Mosley ha usato attrezzature appartenenti al marito (o meglio appartenenti allo Stato). Non so cosa ne pensiate voi, ma a me non sembra il modo migliore di spendere i soldi incassati con le tasse dei cittadini… Tanto più che la signora non si è nemmeno presentata in tribunale, dimostrando chiaramente il proprio ruolo di ingranaggio ingaggiato in una operazione pensata per danneggiare il signor Fia.

In effetti è sembrato così anche al giudice, che ha condannato il giornale per diffamazione e violazione della privacy, obbligando al pagamento di un risarcimento per danni morali e materiali di 76.000 euro. E non è finita, perché questa prima sentenza riguarda solo il fatto di aver dato del nazista a Mosley. Nei prossimi mesi si svolgeranno infatti altri processi per altre forme di diffamazione, e ci sarà da ridere.
In attesa di divertirci alle spalle dei cosiddetti benpensanti però sarà il caso di tirare un po’ le somme. Questo è l’ennesimo caso di “scandalo” in cui la passione di qualcuno per la dominazione viene giudicata, alla fine dei conti, perfettamente legittima e innocua. L’avevamo visto in passato con un militare della Nato, con i casi di Madonna e Angelina Jolie (che anzi ne hanno tratto grandi vantaggi d’immagine), e ora con Max Mosley.

Prima o poi, a furia di vedere questi fuochi di paglia, mi auguro che la gente la capirà e la pianterà di cercare la condanna di cose tutto sommato normalissime, che vengono fatte in tutto il mondo da migliaia di anni e che non influiscono minimamente sui veri problemi del pianeta. Nel frattempo, lasciatemi tornare a piscina e ombrellone – rigorosamente senza riviste di gossip nelle vicinanze.

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