Le emozioni dello strap-on

Qualche ora fa mi hanno fatto dei sentitissimi complimenti per qualcosa di piuttosto insolito, almeno per la maggior parte delle persone. Le congratulazioni erano per la mia capacità – che pare sia molto superiore alla media – nell’uso dello strap-on. Come al solito non è il fatto in sé a essere particolarmente interessante, ma tutto ciò che porta a pensare.
Ma cominciamo dall’inizio. Per chi non lo sapesse, “strap-on” è l’abbreviazione del termine inglese “strap-on dildo”, che vuol semplicemente dire “fallo da allacciarsi addosso”. In italiano lo stesso oggetto credo che si chiami qualcosa come “mutanda fallica”, e con un nome del genere non c’è da sorprendersi se tutti preferiscono usare il vocabolo inglese.

Uno strap-on, in effetti, con le mutande ha molto poco da spartire. Benché ce ne siano decine di modelli differenti, è più che altro un sistema di cinghie che permette di fissare un fallo artificiale all’altezza del pube. Ovviamente è quindi più in alto di dove si trova normalmente un pene, ma per un buon motivo: piazzandolo qualche centimetro più in su la base può appoggiare sulla pelvi, che può così spingere il tutto con più forza.
Il perché dovrebbe essere evidente, ma dal momento che sto spiegando tutto lo dico chiaramente: gli strap-on si usano quando una signora (o un maschietto con qualche difficoltà d’erezione, ma quello è un altro discorso) desidera penetrare qualcuno con gesti tipicamente virili. Il “qualcuno” nel mio caso è in genere una persona che vuole esplorare le sensazioni date da un ruolo sottomesso, e non avendo paure immotivate riguardo la penetrazione si sottopone volentieri a questo tipo di gioco. Se la parola “immotivate” vi sembra strana è perché non avete letto attentamente il mio blog. Qualche mese fa ho già parlato approfonditamente dei giochi anali, e fareste bene ad andare a rileggervi quel post.

Tornando a noi: trovare lo strap-on giusto non è affatto una cosa facile. Col tempo mi sono fatta una bella collezione di vari modelli di dimensioni e caratteristiche differenti, ma poiché ogni persona ha una conformazione tutta sua servono parecchi tentativi prima di trovare il design che permetta di muoversi confortevolmente. Spesso finisce infatti che il fallo se ne scappi dove vuole lui, che le cinghie diano fastidio o che la consistenza dello strumento renda impossibile usarlo decentemente.
Quando si trova il modello corretto per sé stessi però la musica cambia. Non dico che indossare un oggetto simile sia proprio la stessa cosa di avere un pene vero, ma devo ammettere che col passare dei minuti si finisce per sentirlo sempre più come una parte del proprio corpo. È una di quelle cose che non si possono spiegare a parole ma che assumono un senso appena si prova: ho diverse amiche che mi hanno confermato di provare le stesse sensazioni, quindi dev’essere qualcosa che ha a che fare con gli istinti innati degli esseri umani.

Credo non ci sia bisogno che dica proprio a voi qual è l’istinto più forte che si ha avendo a disposizione un fallo, vero? Qui succede però una cosa un po’ strana, legata al solito concetto di vivere la dominazione in maniera responsabile invece che come un assurdo gioco al massacro.
Non so infatti cosa facciano le altre, ma per quanto mi riguarda la prima cosa che faccio quando mi appresto a penetrare qualcuno con uno strap-on è sforzarmi di essere più razionale possibile (a proposito: l’igiene e il buon senso impongono di mettere sempre un preservativo sul fallo finto, in modo che resti sempre pulito e privo di possibili agenti patogeni). Gli istinti sono una cosa bellissima, ma le cose vanno sempre fatte con criterio.

Una Dominatrice degna di tal nome si preoccupa quindi di fare le cose con calma per non provocare contrazioni o lesioni, abbonda col lubrificante e tiene sempre a mente quelle nozioni di anatomia che permettono di non provocare alcun danno. Razionalità, quindi.
Razionalità e dialogo – anche se magari solo di sguardi – con chi mi sta sotto per mantenere il giusto rapporto di fiducia e intimità che è indispensabile per potere vivere bene un momento simile. Dopodiché si entra, si ottiene un buon livello di rilassamento… e a quel punto cominciano davvero i giochi!

Eh sì, perché tutta l’abilità di cui si parlava all’inizio non sta certo nel saper scegliere un oggetto e infilarlo con un minimo di capacità: purtroppo mi hanno raccontato che c’è anche chi non sa fare nemmeno questo, ma preferisco dare certe cose per scontate. Ciò che rende davvero speciale un’esperienza del genere invece è tutta un’altra cosa, che però può venire solo dopo avere superato le normali reticenze iniziali.
Il punto, secondo me, è che la Dominatrice mantenga un vero rapporto con… lo strap-on! Non mi sto naturalmente riferendo a uno scambio di ruoli, per carità, ma a un atteggiamento psicologico importantissimo.

Chi vuole farsi penetrare da una donna che indossa un fallo finto, magari di dimensioni esageratamente grandi, di solito non lo fa per farsi fare due coccole. Il tipo di esperienza che cerca è di essere sbattuto in modo indimenticabile, non un amplesso tenero ed egalitario. Una cosa del genere ha caratteristiche molto particolari.
Non si tratta di una femminista frustrata che si agita mossa da una fantomatica sete di vendetta verso il genere maschile; Non si tratta di una donna che finge di essere un uomo (se no tanto valeva andare con un uomo vero); Non si tratta di un’esperienza asettica e bene educata… Ma soprattutto non si tratta di due persone separate da un pezzo di gomma.

Il gioco è proprio il contrario: unire due persone tramite lo strap-on. Questo però non accadrà mai se già la Dominatrice lo percepisce come qualcosa di separato da sé, come uno strumento da muovere in maniera “tecnica” senza trarne nessun piacere. Certo, il piacere è ovviamente tutto mentale anziché fisico, ma il bello è proprio stimolare il cervello, no?
Per come la vivo io, il bello sta nel percepire la connessione di due menti attraverso un tipo di gesto e rapporto che non è la simulazione mal riuscita di un accoppiamento, ma proprio qualcosa di completamente nuovo e unico, anche se i colpi di bacino assomigliano a quelli più tradizionali.

In quei momenti c’è un misto travolgente di emozioni: il fatto di trovarsi all’interno del corpo dell’altro, la fisicità dei gesti, la violazione dell’intimità altrui, la vicinanza dei corpi, la piacevole artificiosità dello strumento, la possibilità di continuare all’infinito e addirittura di cambiare le proprie dimensioni, l’assoluta sottomissione di chi mi riceve… Come dicevo prima, sono cose che scritte su una pagina (o su uno schermo) non riescono quasi per niente a trasmettere l’intensità di certe sensazioni.
Una cosa è certa. Passata la fase iniziale è bellissimo potersi abbandonare nuovamente all’istinto di cui si parlava qualche riga più su e scatenare piaceri del tutto particolari, inimitabili. La descrizione fatta dalla persona che mi ha fatto quei complimenti è stata: “mi ha fatto sentire come se fossi stato un tutt’uno con lei, madame”. Ed è vero, ci si sente proprio così.

Forse alla fine il punto non è però il tipo di strumento che utilizzo. Tutto sommato si tratta dello stesso tipo di sintonia che riesco a creare anche quando uso le mie corde per legare, quando calpesto un corpo nudo sotto i tacchi a spillo, quando faccio fischiare la frusta nell’aria o quando semplicemente do l’ordine perfetto per far vibrare le corde giuste nell’anima del mio schiavo.
In definitiva credo che tutto si riconduca nel divertirsi in ciò che si fa, nel farlo con passione e saper trasmettere questo stesso entusiasmo in chi ci circonda. Poi è naturale sentirsi fare i complimenti…

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