L'asino di Buridano

Non so se conoscete il paradosso dell’asino di Buridano. È una storiella usata in filosofia per dimostrare diverse cose, fra cui l’inadeguatezza della razionalità. Il protagonista è un asinello affamato, che seguendo l’appetito si getta ovviamente verso il mucchio di fieno più vicino e comincia a masticare. Finisce la prima balla di fieno ma ha ancora fame, così va verso il cumulo più vicino e riprende il pasto. La cosa si ripete fino a quando non si trova – caso strano – esattamente alla stessa distanza fra due mucchi di fieno perfettamente identici.
L’asinello non sa da che parte andare. Ci pensa su, e non riesce proprio a decidersi anche perché – ricordiamoci che è un asino molto filosofico – non vuole fare la scelta sbagliata. Insomma: pensa che ti ripensa passa il tempo e la situazione rimane sempre in stallo. Trovare una scelta più conveniente dell’altra è impossibile… e a furia di pensare il nostro asinello muore di fame.

Salta subito all’occhio una cosa: che i filosofi sono dei pessimi inventori di storielle. A parte questo, però, è proprio vero che a volte mettersi a ragionare troppo è davvero controproducente. La dimostrazione è il caso di un mio nuovo amico di origine altoatesina, che tanto per essere originale chiameremo Hans.
Hans non è affatto un tipo stupido: è un ricercatore laureato in fisica e mi ha dato sin dal primo momento in cui ci siamo conosciuti l’impressione di essere molto sveglio. Nonostante questo, però, si è trovato a recitare la parte dell’asino per molti anni.

In breve il suo problema era questo: essere attratto irresistibilmente da immagini e fantasie di donne che indossavano stivali con tacco alto lunghi fino a metà coscia… e non avere mai realizzato il suo grande sogno di avere un’esperienza feticistica di questo tipo. Probabilmente penserete che sia stata solo la sfortuna di non incontrare nessuna che avesse gusti così particolari nel campo delle calzature, ma il problema non era solo questo.
Il fatto è che Hans ha passato anni a tormentarsi con mille motivi per non rendere concreto il suo sogno. Come mi ha raccontato, prima ha pensato che fosse semplicemente una fantasia stupida e passeggera; Poi che si trattasse in qualche modo di una perversione pericolosa, da curare o come minimo dimenticare; Poi che a raccontare questo desiderio alla sua ragazza avrebbe rovinato la loro storia (e qui mi chiedo: se basta così poco, vale la pena di avere una relazione con questa persona?); Poi che a rivolgersi a una professionista sarebbe stato immorale, uno spreco di denaro o un’esperienza squallida; E poi e poi e poi…

Insomma, a furia di far girare a vuoto il cervello sapete quanti anni di sofferenza si è inflitti questa persona? Poco meno di dodici. Pensateci bene: dodici anni a sognare qualcosa e negarselo anche se perfettamente raggiungibile. Non mi è mai capitata una cosa del genere, ma credo che sia un tormento simile a quello dei carcerati che si rendono conto di essere separati dal mondo esterno solo dalle sbarre alla finestra, eppure non possono superarle. Mi vengono i brividi solo a pensarci!
Oltretutto mi è stato spiegato (ed è stata una conversazione davvero commovente, credetemi) che in tutti questi anni il suo feticismo frustrato ha provocato anche diversi altri problemi. A parte le grandi somme spese in riviste, film e abbonamenti a siti Internet con immagini di donne stivalate, Hans ha avuto diverse liti anche gravi dovute al cattivo umore che lo perseguitava, si ritrovava a volte a sognare a occhi aperti la sua donna ideale e risultava pertanto distratto e inaffidabile, e aveva cominciato a perdere del tutto interesse per sua moglie.

È andata a finire che a un certo punto la pentola a pressione che aveva al posto della testa non ce l’ha fatta più. C’è stato un brutto episodio di cui ho promesso di non scrivere (il resto della storia mi ha autorizzata lui a riportarlo) e finalmente si è deciso ad andare a trovare una professionista del fetish. Da me c’è venuto perché gli è piaciuto il mio sito, ma anche perché abitiamo a grande distanza: era terrorizzato di poter essere visto da qualcuno, poverino… anche se sa benissimo che è una cosa impossibile.
Comunque. Hans è arrivato da me spaventatissimo, nervoso come un bimbo, pieno di vergogna. Per dirmi cosa desiderava davvero – nel primo contatto si era parlato genericamente di feticismo - ci ha impiegato molto tempo, perché aveva demonizzato a tal punto il suo sogno da pensare che per qualche motivo persino io avrei trovato normale ogni altra forma di feticismo ma non questa. E poi si è risolto tutto.

Come? Ma naturalmente facendogli scegliere dalla mia Scarpiera gli stivali che gli piacevano di più (in questo caso un paio in vinile rosso, con un’allacciatura davvero molto sexy) e facendomi aiutare a indossarli, chiuderli, lucidarli, accarezzarli e così via. Se vi aspettavate un racconto super-hard sarete delusi: si è trattato di un incontro completamente casto e tranquillo, anche se carico di una intensità di emozioni fuori dal comune. Un’esperienza stupenda che ricorderò molto, molto a lungo.
Non potete neanche immaginare quanti ringraziamenti ho ricevuto prima che tornasse a casa. Nell’arco di un paio d’ore avevamo sconfitto insieme i fantasmi che lo tormentavano da più di un decennio, e l’ho visto trasformarsi davanti a me (beh, sotto di me, a dir la verità) letteralmente in un’altra persona. Un uomo felice, sereno, pieno di energie e soprattutto finalmente in pace con sé stesso.

Alla fine ci siamo fatti una bella risata liberatoria su tutte le assurde giustificazioni che si era inventato per tutto questo tempo. Ci siamo anche chiesti perché l’abbia fatto… e non abbiamo trovato una risposta soddisfacente, ma del resto non sono una psicologa. Probabilmente la cosa ha a che fare con l’educazione ricevuta da piccolo e da una percezione un po’ strana della religione… ma il bello è che non importa proprio. O meglio, non importa più.
Hans mi ha detto che tornerà sicuramente a trovarmi per giocare ancora insieme, ma che ormai la fantasia che lo ossessionava ha perso potere. È ancora affascinante ed eccitante, ma si è reso conto che si trattava di un gioco del tutto innocuo e normale, e come tale lo considera adesso.

Qui nel mio studio sono passate diverse persone con lo stesso problema di Hans. Non quello degli stivali, ma quello di essersi costruite addosso una prigione di problemi inesistenti, che si sarebbero potuti risolvere molto in fretta se solo avessero dato retta al cuore anziché ai pensieri “logici” inculcatigli dalla morale, la scuola e altre strutture di potere che a volte sono pericolosissime.
A volte basta niente per migliorare la propria vita… e quando posso essere io a dare una mano a farlo vi confesso che provo sempre una bella soddisfazione. Tutto sta a smettere di comportarsi da asinelli, no?

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