Ykinok

Vi ricorderete che qualche giorno fa si era parlato di una performance di body art. Sono lietissima di informarvi che è stata poi una esperienza estremamente interessante, nonostante una serie di problemi tecnici l’abbia fatta cominciare con diverse ore di ritardo che hanno messo a dura prova la pazienza di tutto il pubblico.
Durante questa lunga attesa mi sono trovata a girare senza meta in un grande “spazio d’arte” dove l’unica distrazione era rappresentata dalle foto di una festa indiana in cui i seguaci di una divinità induista si trafiggono con strumenti di ogni genere. Bellissime, interessantissime ma un po’ noiose dopo la trentesima volta che ti ritrovi a guardarle. Così sono passata all’unico altro passatempo: osservare le altre persone presenti e parlare con quelle più stimolanti.

Sulla prima parte non c’è niente da dire. C’erano molti esponenti del mondo dei piercer/tatuatori/modificatori corporei, qualche fotografo, qualche modella, alcuni personaggi venuti da centri sociali “molto alternativi” e una buona dose di individui appartenenti a quella strana categoria di persone che esiste solo a Milano e Roma – gli artisti-pubblicitari-creativi-organizzatori di feste-fighetti-figli di papà, di cui non è possibile capire mai cosa facciano di preciso e, a dirla tutta, perché abbiano l’autorizzazione a esistere.
Poi naturalmente c’eravamo io e qualche altro amico e amica appassionati di BDSM. Per evitare equivoci, sarà bene dire che eravamo tutti vestiti ammodino, senza fruste in mano o cartelli con su scritto “schiavo” appesi al collo. E, come dicevo, abbiamo cercato di fare due chiacchiere con gli altri.

Prima osservazione: ho scritto “abbiamo cercato” perché non è che la gente fosse particolarmente amichevole. La tendenza era quella di formare tanti piccoli gruppetti chiusissimi, in cui era molto difficile infilare anche solo un sorriso – ma vista la situazione poteva anche essere una cosa normale.
Altrettanto normale, purtroppo, è stata anche la reazione di alcune persone quando finalmente si ha cominciato a scambiare due parole. Sapete com’è: si fa un commento sulle foto, si butta lì di conoscere l’artista, e dopo le presentazioni scatta sempre la domanda “e tu cosa fai nella vita?” E apriti cielo.

Ci sono delle situazioni in cui per evitare problemi sfoggio le mie risposte standard: consulente, psicologa, terapeuta comportamentale, infermiera e così via. Si tratta di quelle situazioni in cui so per certo di avere a che fare con persone che non capirebbero le sfumature delle mie inclinazioni o con cui non voglio perdere tempo.
In altre occasioni invece mi aspetto di trovarmi di fronte a persone di vedute aperte, interessanti e con cui si può come minimo intavolare una normale conversazione. Una si aspetterebbe per esempio che dei ragazzi con la faccia e il corpo ricoperti di tatuaggi le vedute le avessero abbastanza ampie, no?

Sorpresa sorpresa: capita abbastanza spesso che la risposta sia “no”. Il dialogo va allora più o meno così:

- Ciao, sono X, faccio il tatuatore e lo sciamano metropolitano. E tu cosa fai?
- Io mi chiamo Ingrid. Sono una dominatrice professionista.
- Come dominatrice? Non prenderai mica a frustate la gente, dai…
- In effetti sì, ma faccio anche un sacco di altre cose.
- Oddio! No no no, certe robe io proprio non le capisco, mi fanno impressione…

…e a questo punto cominciano gli sguardi pieni di panico e la ricerca di ogni scusa per terminare la conversazione, cosa che lascio prontamente fare.
Gli americani chiamano questo atteggiamento con la sigla “Ykinok”, che sta per your kink is not ok, o “la tua perversione non mi sta bene”. In altre parole, un’ipocrisia alta quanto la Madonnina del Duomo.

Un altro esempio favoloso è quando vengo invitata a fare una performance di dominazione in locali che non siano riservati esclusivamente a questo tipo di erotismo. Questi posti vengono ovviamente frequentati da adulti con un certo interesse verso il sesso e tutto ciò che vi ruota attorno. Il mio approccio è sempre di massima tolleranza (almeno finché non si scade nella maleducazione) anche con chi vive in modi che non mi entusiasmano – ma anche qui vedo spesso reazioni improbabili.
Quel che succede è che arrivo con il mio bell’abitino fetish e già vengo guardata come una marziana. Se poi oso impugnare una corda cominciano subito i commentini tipo “ma quella è matta”, o “è una malata”. Ykinok, altroché se ykinok!

Per tornare a noi, mi sono ritrovata a essere esclusa da gruppi di gente che si sospende al soffitto con degli uncini infilati nella carne perché mi piace fare trampling, e guardata con sospetto da allegre coppie di autori televisivi gay perché ho uno studio pieno di giocattoli erotici che loro non capiscono. Roba da matti, secondo me, ma ormai ci sono abituata.
So che ormai vi ho abituati troppo bene: di solito in fondo a ogni mio post trovate la morale di tutta la storia, una bella lezione di vita o cose così. Stavolta invece non so proprio cosa scrivere. È successo così, e basta. Non me la sento di giudicare nessuno, prendo atto della faccenda e torno serenamente alla mia vita di Dominatrice. Inutile scandalizzarsi, dopo tutto.

Vi farà piacere sapere che, naturalmente, c’erano anche tante ottime persone con cui io e i miei amici ci siamo divertiti moltissimo – e a dire la verità è stato divertente anche vedere con la coda dell’occhio altre persone che ci indicavano da lontano come per avvertire i loro amici di non avvicinarsi troppo a noi pericolosissimi depravati. Sarà, ma l’ho trovato buffo.

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