Cosa ci troveranno di bello?

C’è un amico, che chiamerò il Mantovano, che viene a trovarmi all’incirca ogni due mesi per sperimentare con me giochi di feticismo dei piedi e delle calzature. In particolare gli piace moltissimo essere calpestato, e mi ripete spesso di avere provato a fare le stesse cose con altre donne ma di non averne mai trovato un’altra che “sentisse” le sue emozioni come me.
Dice che gli sembra che fra noi ci sia quasi un legame telepatico: che so dove premere, con che intensità, quando smettere e quando invece ignorare un suo sguardo supplicante o un respiro più difficoltoso apre le porte a un piacere più intenso. Mi ha confessato di provare un brivido lungo la schiena quando gli apro la porta e mi trova – parole sue – sempre con gli stivali o le scarpe che lui stesso avrebbe desiderato, anche quando non mi ha comunicato la sua fantasia di quel giorno.

In effetti è vero: ci troviamo benissimo l’una con l’altro, ma non c’è nessun trucco o potere paranormale. Semplicemente, a me piacciono questi giochi tanto quanto piacciono a lui. Non si tratta di appoggiare un piede in un punto piuttosto di un altro, o di farsi leccare un tacco svogliatamente, tanto perché è quel che ci si aspetta in una situazione come quella.
Io, come lui, amo i più piccoli dettagli di uno scenario simile. Cose come il contrasto fra la tomaia della calzatura e il colore della sua pelle (che spesso è molto abbronzata), oppure il fatto di forzarlo a respirare in un certo modo semplicemente spostando il mio peso su di lui, o ancora la differenza fra un bacio rispettoso, una leccata appassionata, una passata di lingua più umiliante, o quel particolare momento di perdita di controllo in cui deve succhiarmi un tacco a spillo come se fosse tutt’altra cosa. Adoro questi particolari.

Con il Mantovano naturalmente parliamo. Parliamo prima e dopo gli incontri, ma anche durante (non potete immaginare come sia divertente costringerlo a fare conversazione mentre gli premo con tutto il peso sul petto, e i suoi occhi rimangono ipnotizzati a cercare di guardarmi sotto la gonna, dove peraltro non potrà mai arrivare).
L’ultima volta che è venuto a trovarmi a un certo punto mi ha fatto un’osservazione che ho trovato divertentissima. “Sa, Madame,” ha detto, “noi restiamo sempre nelle altre stanze del suo studio e a me va benissimo così, ma ogni volta che passo davanti alla porta della Camera Rossa e vedo tutti quegli strumenti di tortura rimango perplesso. Non capisco proprio cosa possano trovarci di divertente a farsi infliggere dolore altre persone.”

Che cosa buffa! Uno zerbino umano che non comprende i gusti di altri, li trova così alieni. Poiché ero particolarmente di buon umore gli ho fatto fare allora una specie di giro turistico della Camera, spiegando la funzione di alcuni pezzi. Gli ho raccontato come il punto di tutti quei giochi non sia il dolore in sé, proprio come il punto dei nostri giochi non sono le scarpe di per sé stesse.
Non è un segreto che a me piaccia molto vedere un’espressione di sofferenza sul volto della persona con cui sto giocando, ma quello è solo un piccolissimo aspetto fra tanti altri che compongono un’esplorazione BDSM. Il punto più importante probabilmente non è ciò che facciamo in quella stanza, ma il fatto stesso di poterlo fare. Che ci sia una persona che mi si è affidata completamente, e che io abbia accettato di prendere le sue sensazioni e farle crescere sempre più, guidandole fra piacere e dolore verso vette che altrimenti non avrebbe mai potuto sperimentare.

Come se si trattasse di massaggiare l’anima, mi piace sentire le resistenze iniziali che piano piano si sciolgono, fino a quando non si entra in comunicazione con l’essenza più profonda della persona. Mi piace vedere che ogni distrazione scompare, finché l’unica cosa che conta è essere lì, presenti a sé stessi come non mai, concentratissimi su ogni più piccolo movimento, respiro, emozione, sensazione – che viene finalmente sperimentata al pieno, come non capita ormai quasi più nella vita vera.
Mi piace scoprire ogni volta nuovi aspetti di chi ho davanti… e naturalmente tutte queste cose piacciono molto anche a coloro che giocano con me. Nessuno viene costretto a indossare i miei collari o a entrare nella bella gabbia che occupa un angolo della Camera Rossa: sono scelte spontanee che vengono da un istinto profondo – proprio come il Mantovano fa la scelta apparentemente strana di dedicare anche mezz’ora a baciare con enorme devozione tutta la superficie di un mio stivale.

Devo essere stata molto convincente nella mia spiegazione. Quando ho finito, il mio amico mi ha guardato con gli occhi lucidi, enormi. Mi ha detto: “Madame, non immaginavo davvero che le cose stessero così. Solo sentire con quale passione lei parla di questi giochi mi ha convinto che ci deve essere qualcosa di bello e importante da provare qui dentro. Continua a farmi un po’ paura, ma… la prossima volta le andrebbe di farmi provare qualcosa?”
Gli ho sorriso, e gli ho promesso senz’altro di sì. Fra noi non c’è nessuna telepatia, ma non c’è alcun dubbio che ci sia la comprensione di due cervelli curiosi della vita, due menti aperte e felici di potere fare esperienze nuove. Non ho neanche nessun potere di preveggenza, eppure sono sicura che la prossima volta che vedrò il Mantovano mi divertirò molto…

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