Histoire d'O

Oggi ho incontrato una nuova aspirante schiava. Non credo, a dire la verità, che sia il tipo di persona con cui potrei trovarmi bene: la prima impressione è di una ragazza piacevole e interessante per qualche incontro di gioco occasionale, ma davvero inadatta a servirmi sul lungo termine.
Non voglio entrare nei dettagli sia per una questione di privacy che perché li trovereste probabilmente noiosi, ma una cosa devo proprio dirla. L’elemento più negativo della sua psicologia è qualcosa che ho incontrato già molte volte nella mia esperienza, e quasi sempre nelle donne. È come un virus secondo me pericolosissimo, che per quanto si tenti di fare non viene debellato da decenni e anzi continua a diffondersi. Il suo nome è, come tutta la sua natura, subdolamente sensuale: si chiama Histoire d’O.

Sto parlando naturalmente del famoso romanzo di Pauline Réage, che in moltissimi casi è stato il primo contatto di tante persone con il mondo della dominazione erotica. Personalmente lo trovo un libro appena dignitoso e anche un po’ noiosetto, ma non c’è dubbio che sia un grande classico e abbia i suoi meriti – soprattutto se si considera il periodo in cui è stato pubblicato. Per capire meglio ciò che sto per scrivere sarà quindi bene che andiate a rileggerlo anche voi. Se non l’avete mai fatto non temete: è probabile che vi piacerà.
Una precisazione importante per chi sta già pensando di fare il furbetto: ho detto di leggere il libro, non di guardare il film. La pellicola, che pure ha una protagonista davvero affascinante, è stata necessariamente abbreviata e censurata nelle sue parti più scabrose, quindi non fa al caso nostro. Mi dicono in effetti che di recente sia stata prodotta una “edizione integrale” su una decina di DVD, ma non l’ho mai vista e non saprei dirvi se sia fatta bene o no. A giudicare dalla lunghezza sospetterei la seconda ipotesi.

Va be’, visto che sono in un momento particolarmente magnanimo non vi risparmio la lettura del libro ma per comodità comincio col riassumervelo subito qui. O è una fotografa francese che si innamora di René, un cicisbeo con il gusto per la dominazione. I due fanno un po’ di giochini, dopodiché lui la porta in una tenuta a Roissy (periferia di Parigi che nella realtà è devastata dalla presenza di un grosso aeroporto) per essere addestrata a diventare una schiava perfetta.
Qui O viene frustata e usata sessualmente da diversi uomini ma soprattutto dal proprietario della tenuta, un tale Sir Stephen che in realtà ha probabilmente mandato René in avanscoperta per catturare e tenere la ragazza per sé. Un’altra parte della trama riguarda il rapporto d’amicizia molto intima fra O e un’altra ragazza, e il modo in cui la sorellina minorenne di quest’ultima fa di tutto per farsi introdurre da O stessa nel mondo della schiavitù. Seguono storie di marchi a fuoco, piercing brutali, gran sesso anale e un finale piuttosto tragico, che però viene presentato spesso come una specie di variante opzionale al classico “e vissero tutti felici e contenti”.

Bella storia, vero? Magari un po’ banale ma carina… come stimolo alla masturbazione. Se invece la si comincia a prendere un po’ troppo sul serio le cose cambiano. Eh già, perché il problema di tutte quelle aspiranti schiave di cui parlavo prima è proprio questo: leggono il romanzo, si fanno cogliere dall’entusiasmo e vanno in cerca della loro Roissy, decise a intraprendere una carriera di torrida e romantica sottomissione.
In questo non ci sarebbe niente di male, a parte il fatto che è un po’ come andare al cinema, guardare Harry Potter e pretendere di iscriversi il giorno dopo a un’università per maghi e streghette. Il fatto è che scuole simili non esistono, ma soprattutto non esiste nessuna “università delle schiave”!

Certo, un posto del genere è anche nelle mie fantasie e in quelle di milioni di altre persone… ma è pura finzione letteraria. Nel mondo reale non c’è nessuno che abbia i mezzi e soprattutto la voglia di creare una specie di Disneyland super-raffinata per soddisfare i sogni masochisti di qualche ragazza. Perché mai dovrei mettere il mio castello, se mai ce l’avessi, a disposizione di un branco di sciocchine che aspirano solo a dormire in cella tutto il giorno finché qualcuno (che nel frattempo ha organizzato scenografie spettacolari, invitato ospiti bellissimi, fatto commissioni e lavorato al posto loro, eccetera eccetera) decide di andarle a prendere per vestirle, truccarle, prepararle, dar loro qualche frustata, soddisfare le loro voglie sessuali e poi rimandarle educatamente a nanna? E gratis, magari!
Eh no, cari miei (e care mie)… La realtà è un bel po’ diversa. Le schiave non vengono “addestrate”, ma devono impegnarsi in prima persona per meritare le attenzioni e le fatiche dei Dominanti. Non hanno un ruolo passivo e sostanzialmente molto comodo, ma devono preoccuparsi di rendere comoda la vita della Padrona. E soprattutto, il mondo reale ha scomode ma inevitabili esigenze con cui tutti noi dobbiamo fare i conti, quindi sognare è bellissimo, ma per vivere il sogno bisogna rimboccarsi le maniche.

Insomma, questo è il motivo per cui ho il forte sospetto che la mia nuova “aspirante” scapperà a gambe levate quando si renderà conto che il BDSM è una cosa bellissima, ma richiede un certo impegno da parte di tutte le persone coinvolte. In compenso tutto ciò mi dà lo spunto per un paio di ragionamenti.
Primo: è un bene che gli uomini abbiano fantasie un po’ più varie (anche se spesso altrettanto irrealizzabili) e meno stereotipate. Secondo: in realtà un posto simile alla Roissy di O esiste, ed è l’OWK di cui ho scritto qualche tempo fa. Credo sia significativo il fatto che, dopo avere spiegato di cosa si tratti, le candidature che sono arrivate e continuano ad arrivare siano relativamente poche e molto caute. Forse c’è qualcosa nella mente maschile che vi rende un po’ più pragmatici quando si tratta di affrontare i vostri sogni nel concreto.
E infine – e questa è la cosa più importante – che peccato che tutti si perdano a fantasticare su un romanzetto porno qualsiasi quando la vera storia interessante di Histoire d’O riguarda la sua realizzazione. Poiché non è una vicenda molto nota, lasciate che ve la racconti io.

Innanzitutto, Pauline Réage non esiste. C’era invece Anne Desclos, una giornalista e traduttrice di romanzi morta nel 1988, che nel 1946 aveva trovato un impiego in una divisione della leggendaria casa editrice francese Gallimard. Il suo capo era Jean Paulhan, un celebre intellettuale che divenne (prima dell’assunzione? Dopo? Certe carriere sono sempre misteriose…) anche l’amante di Anne, così appassionata di pseudonimi da farsi chiamare in quel periodo Dominique Aury.
Mentre la Aury diventava una oscura ma apprezzata firma sulle pagine culturali delle riviste parigine Anne e Jean si divertivano sia nel letto che in ufficio, dove pare avessero interessanti discussioni letterarie. Durante una di queste lui dichiarò che nessuna donna era in grado di scrivere un bel romanzo erotico… e lei prese la cosa come una sfida. Ispirandosi ai gossip sulla scrittrice masochista Janine Aeply, Dominque si sdoppia anche in Pauline… ed ecco nascere Histoire d’O.

A 90 anni suonati l’autrice confessò che il romanzo era la sua lettera d’amore per monsieur Paulhan, che probabilmente diede una grossa mano a rifinire l’opera prima di farla pubblicare. In buona sostanza, quella che per molte donne è la bibbia del sadomasochismo non è quindi altro che un gioco erotico fra due amanti: lei scriveva, lui modificava, lei scriveva un altro po’… Mi auguro solo che strada facendo abbiano sperimentato anche alcuni dei giochi di cui scrivevano tanto!
Un po’ più triste è il fatto che nella stessa intervista in cui finalmente svelava l’enigma dell’identità di Pauline Réage, la signora Desclos abbia dichiarato anche che Histoire d’O avesse pure un altro scopo: mantenere il partner interessato a lei per paura che la lasciasse per una segretaria più giovane. Che peccato! Tanta passione, e poi non si trattava d’altro che di una donnetta timorosa.
Questo equivoco di confondere la sottomissione con un comodo sistema per farsi amare è una cosa che prima o poi mi farà impazzire. Secondo una mia stima personale almeno il 90% delle cosiddette schiave ragiona in questo modo e una buona metà dei presunti schiavi fa lo stesso errore. Sì, errore, perché posso garantirvi che non è questo il modo per conquistare una persona, né il modo giusto per vivere un mondo di erotismo che invece può dare grandissimi piaceri, soddisfazioni e serenità.
In effetti, il problema spesso è proprio questo. Chinare la testa per paura di essere rifiutati; Sperare che qualcun altro si prenda la responsabilità di “addestrarci” anziché fare lo sforzo di migliorare da soli; Sognare luoghi impossibili quando i piaceri più intensi e raffinati si trovano solamente nelle nostre teste e nel rapporto con le persone che si hanno vicine, anche se si abita in un monolocale.
Se solo sapeste quanto mi piacerebbe che tante e tanti “aspiranti” chiudessero libri e siti web e aprissero invece il proprio cuore e la porta di casa, per uscire…

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